I piatti tipici di Verona sono intrisi di storia e leggenda a raccontare la città, ben oltre il territorio e i suoi prodotti più o meno noti.
Fate un giro tra i porticati della città scaligera, addentratevi nei vicoli medievali e sedetevi in uno dei tanti ristoranti che ancora propongono i piatti locali (anche grazie al turismo, certo, che non sempre è una cattiva cosa). Leggete le storie che qui seguono e, mentre sarete lì seduti, rivivetele e fatele vostre a ogni boccone.
Ecco 7 piatti tipici per scoprire storia, leggende e territorio di Verona e dintorni.
Risotto all’Amarone

Uno dei piatti più rappresentativi di Verona, che unisce ingredienti indissolubilmente legati alla zona veronese e veneta.
Partiamo dal vino Amarone della Valpolicella, che dalla nota area vinicola a nord della città dà un tocco di estro e colore al risotto. Quest’ultimo vede protagonista la tipologia di riso Vialone Nano: varietà apprezzata nei risotti quanto il Carnaroli, più presente nelle regioni nord-occidentali.
Immancabile nella ricetta è il formaggio Monte Veronese, sia nella mantecatura che grattugiato nell’impiattamento. Così si completa il tris che in un piatto regala il territorio veronese a ogni forchettata.
Gnocchi di patate

Certo, parliamo di un piatto arcinoto in tutta Italia e non solo, nelle diverse declinazioni e condimenti.
Ma a Verona gli gnocchi di patate hanno un posto speciale, in virtù del legame che hanno con la tradizione del Carnevale veronese. Addirittura, il picco della festa da queste parti non è il martedì grasso, ma il cosiddetto venerdì gnocolar (nome la cui traduzione sarebbe superflua).
Gli gnocchi danno il nome alla principale maschera del Carnevale veronese: Papà del gnoco.
Il personaggio, dalla lunga barba canuta e la pancia generosa, si ispira a una figura tra storia e leggenda. Si tratta del medico veronese Tommaso Da Vico, che nei primi del ‘500 promosse una raccolta fondi per sfamare i tanti indigenti del periodo, in particolare nel quartiere di San Zeno in cui, secondo la narrazione, il personaggio ha origine.
Alla sua morte Da Vico lasciò – sempre secondo la tradizione popolare – una somma in eredità ai poveri di San Zeno, così che potessero festeggiare con gnocchi e vino l’ultimo venerdì di Carnevale.
Da qui nasce il Bacanàl del Gnoco: una festa per ricordare il gesto di Da Vico e che vede protagonista la maschera a lui ispirata. Quest’ultima è infatti rappresentata con una forca dorata i cui rebbi infilzano uno gnocco. Si tratta naturalmente di una romanticizzazione popolare della storia vera, che vuole invece Da Vico scelto dal governo cittadino, assieme ad altri abbienti signori, per finanziare i pasti dei bisognosi nella carestia che colpì Verona negli anni ’30 del XVI secolo. Mentre il suo testamento avrebbe visto come unico erede il figlio Marc’Antonio.
Lesso con la pearà

Il lesso è realizzato con carni bollite – manzo tenero, gallina, cotechino – immerse in brodo di verdure, profumato e dal sapore di inverni d’altri tempi.
Ma è nella pearà, letteralmente “pepata”, che il piatto si rende inimitabile. Ai più distratti può sembrare polenta, ma è in realtà una salsa densa fatta di pane grattugiato, midollo di bue, brodo ricco e tanto pepe nero. Nata forse come pietanza povera, oggi è custode di un gusto antico e deciso che spicca nel menù di numerose osterie e ristoranti della città scaligera.
Pastissada de caval
In quel mezzo il caval nero
spiccò via come uno strale
e lontan d’ogni sentiero
ora scende e ora sale:
via e via e via e via,
valli e monti esso varcò.
Il re scendere vorría,
ma staccar non se ne può.Giosuè Carducci – La leggenda di Teodorico

La pastissada de caval è la narrazione della pianura e la sua storia. Carne di cavallo, tagliata a pezzi e lasciata riposare nel corposo Valpolicella, con cipolla, alloro, spezie e tempo. Tanto tempo. Perché questo stufato non ha fretta: cuoce piano, a fuoco basso, fino a diventare quasi un racconto di antiche gesta. Si dice nasca nel 489 d.C., dopo la battaglia di Verona, quando Re Teodorico lasciò alla popolazione affamata le migliaia di cavalli caduti sul campo. Così, le loro carni vennero tagliate e immerse nel vino rosso per diventare pastissà: “stufati”, corposi e saporiti.
Tortellini di Valeggio

I tortellini di Valeggio prendono il nome dal borgo di Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona e a un salto di fosso – il Mincio, appunto – dalla Lombardia.
Proprio questo fiume è al centro della leggenda che narra la nascita del piatto, altresì noto come “nodi d’amore”.
Si narra che il capitano Malco, al servizio delle truppe viscontee, si innamorò perdutamente di Silvia, una ninfa del fiume Mincio. Ostacolati dalle altrui gelosie, i due amanti scelsero di rifugiarsi e unirsi per sempre nelle acque del fiume, lasciando sulla riva un fazzoletto di seta dorata annodato, simbolo eterno del loro amore. In memoria di questa storia, le donne di Valeggio iniziarono a creare sottili fazzoletti di pasta, annodati a racchiudere un delicato ripieno. Crearono così i tortellini chiamati anche nodi d’amore.
Oggi questo piatto, protagonista dell’annuale Festa del Nodo d’Amore a Valeggio, si prepara con una sfoglia sottilissima, ad avvolgere un ripieno di carni miste – manzo, maiale e pollo – cotte lentamente con cipolla, carota, sedano e rosmarino, e sfumate con vino Bardolino. Una volta assemblati, i tortellini possono essere serviti in brodo caldo o conditi con burro fuso e salvia.
Bigoli con zucca e Monte Veronese

Piatto di eleganti e cremosi contrasti, anticamente preparato nelle cucine contadine durante l’autunno.
I bigoli, spessi e ruvidi, uniscono la dolcezza della zucca raccolta nei campi con la sapidità del Monte Veronese, formaggio d’alpeggio che, sebbene nasca dai monti a nord della città, prende il suo nome dal termine veronese “monta“, ovvero mungitura.
Col piatto si può azzardare qualche variante, in cui la zucca può essere a pezzi o in una crema, e a cui si può aggiungere della pancetta in guarnizione.
Risotto al Tastasal

Prima cosa, cos’è il tastasal? Si tratta di una parola veneta che significa “assaggiare di sale”, tanto che qualche volta si trova scritto “tastasale“.
È un richiamo ai tempi in cui l’uccisione del maiale, e il macello delle sue carni, era un momento di festa per le famiglie e la comunità. La pasta di maiale fresca, che spesso era l’avanzo dei vari tagli, veniva infatti insaporita con sale e spezie. Era poi assaggiata per giudicarne sapore e sapidità prima di preparare i salumi.
Questo macinato di maiale è diventato l’ingrediente principale di un piatto che, assieme all’Oro delle risaie, regala un risotto emblematico di storia e territorio. Tanto da avere oggi un posto di spicco nella Fiera del Riso, che ogni settembre si tiene a Isola della Scala (VR).